eJournals Italienisch 35/70

Italienisch
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
2013
3570 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

A colloquio con Enrico Testa. A cura di Caroline Lüderssen, Christine Ott e Salvatore A. Sanna

2013
2 A colloquio con Enrico Testa A cura di Caroline Lüderssen, Christine Ott e Salvatore A. Sanna Con la collaborazione di Paolo Lazzara Enrico Testa è nato nel 1956 a Genova ed è professore ordinario di Storia della lingua italiana presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Genova. Ha scritto tra l’altro volumi sulla lingua della novella del Quattro e Cinquecento, sul romanzo ottonovecentesco e sulla poesia del Novecento. Enrico Testa ha pubblicato le raccolte poetiche Le faticose attese dall’editore San Marco Giustiniani nel 1988, da Einaudi In controtempo nel 1994, La sostituzione nel 2001, Pasqua di neve nel 2008, e Ablativo nel 2013. Tra i suoi saggi, sempre presso Einaudi, Lo stile semplice. Discorso e romanzo nel 1997, Montale (2000) ed Eroi e figuranti. Il personaggio nel romanzo (2009). Esce nel 1999 Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento (Bulzoni) e nel 2012 Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella poesia di Sanguineti (Interlinea). Inoltre ha curato per Einaudi l’edizione del Quaderno di traduzioni di Giorgio Caproni (1998) e l’antologia Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 nel 2005. Ha tradotto dall’inglese la raccolta poetica High Windows di Philip Larkin. Nella seguente intervista l’autore parla dell’esperienza come elemento fondamentale della poesia e della sua formazione come poeta in generale. Su invito dell’Istituto di Romanistica della Goethe-Universität e della Deutsch- Italienische Vereinigung e.V., si è svolta il 19 ottobre 2012 una serata di lettura-dibattito con Enrico Testa nella sede della Frankfurter Stiftung für deutsch-italienische Studien. Il colloquio ha avuto luogo lì il 25 ottobre 2012. Si riproduce una stesura ridotta del testo, che conserva il carattere del parlato. Domanda . La poesia comunica sentimenti politici, esperienze personali, evoca sentimenti, passioni, ma può rappresentare anche una struttura linguistica. Secondo Lei la poesia moderna, la poesia di oggi, che cosa dovrebbe comunicare? Enrico Testa Che cosa debba comunicare la poesia di oggi sinceramente non lo so. Quello che posso dire, è che secondo me la poesia sostanzialmente dovrebbe comunicare delle esperienze. Mi è molto difficile pensare ad una poesia nata esclusivamente a tavolino attraverso un’elaborazione mentale o cervellotica; ecco la poesia, secondo me, c’è se c’è qualcosa prima nella vita, cioè se è conseguenza di fatti vissuti. D. E allora come si spiega il caso Sanguineti? 2_IH_Italienisch_70.indd 2 30.10.13 09: 25 3 A colloquio con Enrico Testa Testa Sanguineti è un poeta dell’esperienza, ma è contemporaneamente un poeta dell’artificio retorico; presenta, per così dire, due nature. In effetti, i suoi libri sono divisi in due parti, una prima in cui racconta fatti che gli sono accaduti e una seconda in cui fa la pirotecnica formale più elaborata e anche a volte più intransigente. D. Già i titoli di singole sezioni di Pasqua di neve fanno pensare a esperienze di viaggio, per esempio «I cani d’Atene» - potrebbe spiegare questo titolo? Testa Due cose. La prima è che in effetti la dimensione del viaggio è una struttura, credo, abbastanza importante nella mia scrittura, soprattutto perché il viaggio viene percepito come il momento in cui il soggetto si perde e poi si ritrova; o, meglio, si decostruisce e si ricostruisce, perché si trova spaesato in un primo momento e quindi deve faticare a comprendere maggiormente la situazione in cui si trova rispetto invece a quanto vive entro coordinate casalinghe, dove tutto è abbastanza familiare. Relativamente al titolo di «Cani d’Atene» si riferisce a un episodio molto banale, che ogni distratto turista per le vie di Atene può percepire cioè il fatto che c’è una quantità enorme di cani randagi soprattutto nei luoghi dei templi, delle rovine sacre che sembrano essere proprio lì a guardia dell’antichità, della classicità e questo sembra anche singolare, che gli ultimi della specie animale siano rimasti a difesa della tradizione. Era proprio questo che mi piaceva e così ho scelto questo titolo come titolo della sezione. D. Il titolo Pasqua di neve non evoca un’esperienza consueta, per lo meno in Italia, una Pasqua di neve dovrebbe essere piuttosto rara, più nordica che mediterranea. Testa Un titolo come Pasqua di neve potrebbe essere anche facilmente equivocato come una specie di messaggio turistico perché se voi guardate in qualche messaggio pubblicitario di agenzie turistiche ‹Pasqua di neve› è una evocazione frequente per offrire soggiorni durante la Pasqua in montagna. Però non era questo l’intendimento; l’obiettivo era semplicemente quello di dare un titolo che avesse contemporaneamente un senso di possibilità di passaggio e anche di resurrezione, però di un passaggio, di una resurrezione che resta bloccata per il freddo: da un evento che non è solo atmosferico ma poi è anche un evento più vasto, storico, e forse anche ontologico. 2_IH_Italienisch_70.indd 3 30.10.13 09: 25 4 A colloquio con Enrico Testa D. E il titolo «Ismaele» si riferisce a Melville, a Moby Dick… Testa Sì, sì, a Melville e poi alla Bibbia. Però non mi sento un poeta che ha completamente negato il rapporto con la trascendenza, intesa sia come una realtà ben precisa dal punto di vista teologico sia come un semplice riferimento alla precedenza dei rapporti umani, che porti con sè un significato ulteriore al di là della occasionalità di quello che succede quotidianamente. Secondo me una poesia che si limita di essere semplicemente una registrazione banale di quello che succede, in parte manca il suo obiettivo. Cioè la cosa importante sarebbe di riuscire ad accogliere queste due dimensioni contemporaneamente, usando dei termini un po’ filosofici, di unire immanenza e trascendenza nello stesso tempo. D. A proposito della poesia «Arcadia» [v. Appendice] si vede questo rapporto fra il pagano e il religioso, mi sembra, perché c’è l’assenza del religioso, cito: «Miracoli in vista, zero. Per fortuna» (v. 7). Ci siamo chiesti ma perché quest’assenza dei miracoli viene definita una fortuna? Testa La parola «miracolo» non è tanto riferita in senso religioso quanto piuttosto in senso letterario, è un riferimento a un maestro con cui non si può, tanto più in Italia, non fare i conti: l’idea del miracolo montaliano; l’idea che vi sia una trascendenza che provenga dalle alte nebulose, attualmente mi sembra un’idea non più facilmente perseguibile. Quindi questa assenza dei miracoli era quella di trovarsi di fronte ad una natura che non ha altro d’offrire che se stessa e poi, soprattutto alla fine della poesia, anche l’indifferenza e, con essa, la ricerca di un significato. D. È un atteggiamento negativo questo verso nel senso di: i miracoli non sono più possibili oppure… Testa No, no… non lo vedo tanto come pessimistico perché secondo quello che dicevamo prima, la possibilità del miracolo sta nell’ordinarietà dei rapporti umani più che nell’attesa di qualcosa che ci provenga dall’alto. Un filosofo franco-lituano che mi è particolarmente caro, Emmanuel Levinas, 1 appunto diceva che la relazione con l’altro comincia nel rapporto interumano e quindi anche nella relazione con l’ altro uomo possiamo trovare quella ricchezza di significati che un tempo invece si consegnava soltanto nel rapporto con una divinità. 2_IH_Italienisch_70.indd 4 30.10.13 09: 25 5 A colloquio con Enrico Testa D. Per quanto riguarda ancora una volta questa, sì, negazione di un miracolo, si tratta di una esperienza che riguarda tutti noi, che viviamo in una società profondamente laica oppure è piuttosto un’esperienza personale? Testa Questo è difficile dirlo perché vorrebbe dire estendere il discorso ad una prospettiva addirittura sociologica e non ho gli strumenti per fare affermazioni in questo senso. Senza dubbio personalmente mi riguarda molto da vicino. D. C’è qui anche un po’ di critica verso la società moderna, vedo anche un po’ di ironia che l’Arcadia non c’è più… Testa …sì, la critica nei confronti della società moderna forse più che in questa poesia c’è in un’altra poesia… D. …la poesia su Londra… [v. Appendice] Testa …quella su Londra dove si parla della folla che attraversa possessivamente, compulsivamente Oxford Street, quasi inventandosi un nuovo rito, una nuova religione che è quella del consumo, dell’edonismo dei consumi. D’altronde io sono convinto che in poesia non si scrive solo insieme a qualcuno ma anche contro qualcuno. Insieme a qualcuno vuol dire insieme ad una persona che ci è vicina o che ci è stata vicina, mentre scrivere contro qualcuno significa prendere posizione contro un modo, una realtà, una situazione che sentiamo particolarmente negativa, ostile o dannosa: a volte può essere anche una tendenza poetica lontana dalla nostra, a volte può essere la società nel suo insieme. Insomma lo scrivere poesie, non credo che sia mai un fatto pacifico. D. È sempre poesia d’impegno? Testa Sì, non è magari un impegno come si poteva concepire nei termini dell’engagement di un certo periodo, però si tratta senza dubbio d’impegno umano. Un poeta che non si proponga un impegno umano nello scrivere poesia, evidentemente ama la poesia come si può amare un cruciverba o un gioco magari anche molto raffinato intellettualmente, però sterile dal punto di vista comunicativo. 2_IH_Italienisch_70.indd 5 30.10.13 09: 25 6 A colloquio con Enrico Testa D. Se ho capito bene stamattina 2 Lei parlava della scoperta dell’io nel periodo dell’Idealismo con Kant, ma pensavo a Dante o Petrarca. Per esempio «Io non so ben ridir com’io v’entrai» (Dante, Inferno I, v.10) oppure «Solo e pensoso i più deserti campi/ vo mesurando» (Petrarca, Canzoniere, XXXV) e qui l’io ha un ruolo importante. Testa Sì, ma quell’affermazione relativa all’idealismo tedesco era una citazione. Qui bisogna essere precisi, non erano parole mie, ma di Sanguineti, tratte da un libro di sue interviste. Comunque senza dubbio verrebbe da dire che ogni epoca, in base allo spirito dei tempi, ha una sua idea dell’io. Adesso va molto di moda secondo le interpretazioni di Bauman, 3 l’idea di un io liquido, quindi di un io aleatorio che cambia continuamente identità anche attraverso le strumentazioni informatiche e multimediali. Se pensiamo a Pirandello a quell’epoca c’era un’idea dell’io molteplice, sfacettata che però è molto diversa da altre figure della società umana che la cultura via via ha elaborato nel tempo. Credo comunque che sia una questione culturale più che un dato pacifico, naturale e sostanziale. D. Per quanto riguarda il rapporto con la tradizione letteraria, questo ‹Arcadia› inevitabilmente e naturalmente evoca anche un genere letterario, e quindi viene naturale pensare all’opposizione fra una parola carica di significato anche se è accumulato storicamente nel corso dei secoli e la realtà e naturalmente sono tentata anche a mettere in parallelo questo contrasto fra ‹Arcadia› e la mancanza di un pastore di pecore con la fine della poesia in cui la parola invoca il cielo. Testa È una poesia estremamente semplice. C’era la volontà forse, ma una volontà che uno scopre sempre col senno di poi, di contrapporre un luogo letterario e anche pittorico di grandissima tradizione con quello che è poi un banalissimo cartello stradale con qualche collina di fronte dove non c’è neanche l’ombra di un pastore e tantomeno di pastorelli di Arcadia; si tratta quindi di mettere a confronto la concretezza di un dato reale con un luogo retorico della tradizione. D. E questa parola «sola e vuota» (v. 11) sarebbe la parola poetica… o è la parola ‹Arcadia›? 2_IH_Italienisch_70.indd 6 30.10.13 09: 25 7 A colloquio con Enrico Testa Testa No, no, è la parola di per sé. Questo è ovviamente un tema antico come il mondo: la parola in cerca di una relazione con una dimensione superiore che si nega e di fronte alla quale spesso si ritira delusa, mancando ogni possibile sintonia. Resta solo una dimensione naturale che pare indifferente ai problemi umani. D. Il colore ha un valore particolare nella Sua poesia? Testa Credo che i valori musicali e anche i cosiddetti valori pittorici, per quel poco che possono valere nel mio caso, abbiano un rilievo di una certa importanza. Il fatto che la poesia nasca come ricordo di un’esperienza porta dell’esperienza anche alcuni aspetti concreti come quelli che possono essere elementi di colore oppure di ritmo. D. Come nasce la Sua poesia? Nasce prima meditata nell’interno, cioè sono parole che si associano spontaneamente fra di loro oppure inizia a scrivere e poi… Testa …non credo che ci sia una regola fissa, una regola precisa: a volte nasce semplicemente a partire da una coppia di termini… una, due, tre parole… quello che si potrebbe definire una cellula armonica intorno alla quale col tempo si coagulano altri elementi. A volte invece nasce bella e pronta, a volta non nasce affatto, nel senso che c’è la volontà di scrivere… D. …ma non si riesce… Testa …non ci si riuscirà mai… e dopo un po’ si deve abbandonare necessariamente la strada. Ci sono varie possibilità, varie opzioni, non c’è una ricetta… D. Una poesia nel volume Pasqua di neve incomincia «di tramonti in poesia / non se ne deve più parlare» (p. 116), questi versi mi sono piaciuti tanto, sono forse espressione di un voler staccarsi dai cliché? Testa Ricordo d’aver letto l’affermazione che di tramonti in poesia non se ne deve più parlare in qualche rivista letteraria dove c’era un poeta affermato che diceva che non si deve più parlare di gabbiani, non si deve più parlare di 2_IH_Italienisch_70.indd 7 30.10.13 09: 25 8 A colloquio con Enrico Testa tramonti, non si deve più parlare di arcobaleni, insomma di tutti quelli che sono un po’ gli stereotipi di poesia; il che, per l’amor di Dio, potrà anche senza dubbio essere giusto e vero, però poi si trovano tramonti inaspettati… come il tramonto di una torre incarbonita di Belgrado, che dopo i bombardamenti NATO sta ancora bruciando. Quindi è un tramonto particolare cioè non è un tramonto naturale ma un tramonto forse di un’epoca o di una civiltà e quindi ancora rappresenta, dolorosamente, la crudeltà… D. In certe poesie c’è anche una specie di, forse si può chiamare straniamento? Cioè questo «non so più chi dei due sciocchi turisti felici» [v. Appendice] vengono visti dal di fuori però alla fine della poesia sembra che uno di questi sciocchi turisti sia proprio l’io che parla… È un procedimento tipico? Testa Sì, forse sì, anche questo. A volte c’è la volontà di rappresentare una situazione con dei personaggi che in parte coincidono, in parte non coincidono con l’io poetico e c’è la tendenza forse a vedere l’io come una terza persona, cioè un io che è sottoposto a una specie di critica. L’aggettivo «sciocchi» in «sciocchi turisti felici» non è certo una forma di apprezzamento se poi si scopre che uno degli sciocchi turisti felici è uno che dice «io» all’interno della poesia, è una sorta di passaggio verso una critica della soggettività. Una dimensione che è particolarmente frequente nella mia poesia è quella del sogno: dimensione di rappresentazione che vede l’io contemporaneamente come io, ma anche come terza persona. Nei sogni ci vediamo contemporaneamente come agenti e come agiti cioè ci vediamo mentre facciamo qualcosa ma forse non dall’esterno, quindi come uno sdoppiamento, uno straniamento. Il sogno è una dimensione molto ricorrente nella mia poesia anche perché differentemente dalle teorie psicoanalitiche, credo che sia più attendibile quanto diceva il filosofo francese Jacques Derrida: che il sogno ha il massimo della spettralità però anche il massimo del messianico cioè nel sogno s’incontrano sia le cose più orribili sia le speranze più dolci; e in effetti dove se non nel sogno possiamo incontrare le persone amate che non esistono più? E quindi proprio il sogno è l’unica dimensione umana in cui rivediamo - e in quel momento crediamo anche che sia vero - coloro che non possiamo rivedere in nessun altro modo. Questo è secondo me un punto molto importante. D. Leggo in In controtempo «il mio sé vuoto lo prendo, di fronte al mare» (p. ...), come si interpreta questo verso? 2_IH_Italienisch_70.indd 8 30.10.13 09: 25 9 A colloquio con Enrico Testa Testa È un problema sostanzialmente morale: sostituire ad un io pieno un sé vuoto… e nello stesso tempo, così come succede in certi sport come il tennis o come il calcio, questo sé vuoto vuol muoversi in controtempo, cioè reagire anticipando la mossa. È un movimento in cui lo sdoppiamento diventa triplice, perché c’è l’io, il sé e colui che agisce contemporaneamente in contrasto o in controtempo appunto con le mosse del sé vuoto. D. «Di fronte al mare» è un colorito poetico oppure è occasionale? Testa Ma «di fronte al mare» è riferito alla mia esperienza… D. …da genovese… Testa …con nessuna pretesa di semantica poetica… D. E questo è un aspetto molto interessante in quanto la natura, il paesaggio in cui il poeta ha vissuto la sua infanzia, si riflette poi nella poesia. Testa Certo. Mi ricordo che Montale diceva, che è incredibile quanto sia difficile scancellare, con la esse davanti, scancellare il paesaggio che s’incide in noi sin dall’infanzia. È una cosa assolutamente vera: pur essendomi più congeniale la dimensione del viaggio però aspetti della mia città e della natura circostante emergono nella mia scrittura e a volte emergono anche nel sogno… D. …pensa anche a Calvino e al suo rapporto con la Liguria… oppure a Pavese: il rapporto con le Langhe o a Fenoglio… mi vengono in mente questi versi: «Queste dure colline che han fatto il mio corpo/ e lo scuotono a tanti ricordi, mi han schiuso il prodigio/ di costei, che non sa che la vivo e non riesco a comprenderla.» 4 Testa Sì. D. Alcune delle nostre riflessioni attorno alle Sue poesie sono nate da problemi di traduzione nel caso del «soffocando nel batticuore» (Pasqua di neve, p. 8) abbiamo pensato di tradurre «soffocare» attraverso «ertrinken» quindi letteralmente «naufragare» perché «ersticken» ci sembrava in qualche modo 2_IH_Italienisch_70.indd 9 30.10.13 09: 25 10 A colloquio con Enrico Testa molto negativo per esprimere un sentimento amoroso. Altro esempio: «hai passato a spinare rose» (Pasqua di neve, p. 79) - abbiamo dibattuto se era il caso di tradurre «distacco» in senso di «Distanz», «distanza», oppure piuttosto nel senso di addio, «Abschied». Perché appunto non ci era chiaro questo «distacco», se fosse un’azione subíta oppure coscientemente attuata dal tu? Testa Sì, sono problemi che mi immagino coinvolgano molto l’impegno della traduzione. C’è una teoria dantesca, secondo la quale la poesia è intraducibile, che non si può scomporre ciò che per legame mosaico è armonizzato. Da parte mia, sto per la traducibilità universale. A me piace molto l’idea che, anche perdendo senza dubbio qualcosa (la musicalità eccetera), i testi possano circolare. Ad esempio che io che non so una parola di russo possa leggere Dostoevskij o Bachtin. Una delle idee credo fondamentali del processo culturale umano è proprio quella della traducibilità di un testo da una lingua in un’altra lingua, di una promiscuità dei significanti. Un’ idea che mi consola molto è quella di poter leggere gli haiku giapponesi e questo grazie all’attività di tante persone che in maniera oscura funzionano come mediatori tra un continente e un altro, tra una cultura e un’altra cultura. Questo potrà senza dubbio provocare delle approssimazioni, dei fraintendimenti però quanto ci rende, quanto ci permette di scambiare ciò che c’è di più umano tra noi, in questo rapporto fra una cultura e un’altra cultura. Pensate se non ci fossero le traduzioni; ciò indebolirebbe la nostra visione del mondo in maniera tragica. D. Ad un certo punto abbiamo notato che le Sue poesie quasi sempre iniziano con una minuscola e finiscono senza interpunzione. Ci siamo chiesti se forse questo sia da paragonare alla tecnica di Francis Bacon10, 5 il quadro senza cornice… Testa …sì, c’è la volontà di non dare un segnale forte di inizio e di non dare neanche un segnale forte di fine e di trasmettere implicitamente l’idea che quel singolo testo appartenga a una serie di altri testi e contemporaneamente ad una dimensione più ampia di discorsi umani e quindi quasi a una solidarietà tra una poesia e l’altra. D. Come si spiega il Suo rapporto particolare con la pittura di Bacon? 2_IH_Italienisch_70.indd 10 30.10.13 09: 25 11 A colloquio con Enrico Testa Testa Direi che sua caratteristica fondamentale sia il fatto di presentare contemporaneamente la figura e il suo contrario. Un filosofo francese, Gilles Deleuze, studiando appunto Bacon diceva che Bacon riesce ad essere figurale senza essere figurativo… e la distinzione viene operata a partire dal fatto che il figurativo ha bisogno sempre di un contorno a cui la figura umana si aggancia mentre il figurale isola la figura senza contorno come se fosse un coleottero piantato con lo spillo al centro. In effetti la perimetrazione anche quasi geometrica dei quadri di Bacon è significativa perché non c’è un contorno, non c’è, come in un quadro del romanticismo, uno sfondo di colline, un fiume che sta scorrendo, c’è appunto il nulla e il vuoto. Inoltre la pittura di Bacon aldilà delle suggestioni interpretative di Deleuze mi ha sempre suggerito l’idea di una poesia lirica che va aldilà della lirica perché è una poesia in cui l’estrema solitudine dell’individuo è rappresentata in maniera tale che l’individuo è irriconoscibile. Quindi non è più un rito di autoidentificazione che l’io poetico fa con se stesso, cioè l’io poetico c’è però stravolto, sfigurato, e quindi si potrebbe addirittura pensare ad una categoria di lirismo baconiano. D. E i personaggi di Bacon non sono soltanto sfigurati, sono anche tormentati, feriti, amputati… Si riconoscerebbe anche in questo? Testa In parte sì, però senza calcare troppo sul nichilismo implicito della visione del mondo di Bacon da cui invece mi sento più distante. Apprezzo molto tutte le suggestioni anche teoriche e metodologiche che ne possono derivare però contemporaneamente sento che è una strada novecentesca ormai impraticabile o comunque praticabile un po’ sterilmente. D’altronde Bacon è facilmente avvicinabile ad un autore come Samuel Beckett: anche lì i personaggi sono in disfacimento. Però direi che una visione così ossessivamente nichilistica forse sarebbe bene ritenerla chiusa. D. Alla fine di alcune poesie, troviamo parole di distacco: «esilio», «devastazione», «sperduti», e poi la visione di Londra che si trasforma in un «viottolo erboso» (Pasqua di neve, p. 11). Sono delle immagini che fanno pensare a un addio, a una fine, forse a una distruzione se non proprio dell’universo, almeno di una metropoli. Perché queste poesie finiscono con questi termini, si tratta di distopie, visioni negative del futuro o sono dei mutamenti umani che vengono prospettati? 2_IH_Italienisch_70.indd 11 30.10.13 09: 25 12 A colloquio con Enrico Testa Testa Se c’è uno scrittore che può essere libero di essere poco coerente, è proprio il poeta, cioè non credo che al poeta si possano fare gli stessi rimproveri che si potrebbero fare ad un logico, ad un filosofo, cioè di essere coerente nella sistemazione del proprio pensiero. Il poeta credo che abbia il diritto di libertà di essere contemporaneamente ottimista e pessimista per usare termini così banalmente psicologici. Da un lato c’è senza dubbio un atteggiamento sconfortato o scorato nei confronti dell’esistenza, però una poesia è anche suono, e l’uso a volte un po’ insistito di rime o effetti sonori fa emergere contemporaneamente accanto ad un tema magari ‹triste›, una certa tonalità briosa. Mi ricordo che Giorgio Caproni 6 che aveva fatto la prefazione al mio primo libro di poesia, aveva avuto la generosità di parlare di ‹brio musicale›. Si può essere briosi dicendo le cose più tristi del mondo e questo è appunto un aspetto della natura aporetica della poesia cioè del fatto che non conduce a un’equazione perfettamente regolata in tutte le sue parti. La poesia in generale, credo, si configura sempre come un gioco tra dimensioni diverse: quelle dei temi che affronta e quelle del modo in cui li affronta e quindi delle risorse ritmiche e musicali che vengono utilizzate, messe a disposizione dalla tradizione. D. Vorrei tornare forse un attimo al suo rapporto con la natura. Le poesie nel capitolo sull’orto botanico sono poesie in prosa. Sembrano enciclopediche. Non so qual è il motivo di scrivere proprio sulla natura, sul giardino botanico in prosa? Testa Sì, nel mio ultimo libro Pasqua di neve ci sono un paio di sezioni di prose brevi che hanno temi diversi: una sezione intitolata «Anniversario» che parla della scomparsa di una persona, e una sezione intitolata «L’orto botanico» che parla invece di un soggiorno lisbonese e di questo rapporto con la natura che sembra sul punto di diventare da muta, parlante, diciamo così, posta quasi su questo crinale tra silenzio e parola. Si ha la percezione che l’ordine della natura sia un ordine parallelo a quello umano e che a volte vi siano delle possibili intersezioni. Ma anche se intersezione non c’è come avviene nella poesia «Arcadia» la natura sembra comunque parlare una lingua anonima che in un modo o nell’altro ci riguarda tutti anche se non si riesce a comprenderla o a dialogare con lei. D. Lei diceva poco fa che la poesia è anche suono, a questo contribuisce l’uso dell’aggettivo. Che rapporto ha Lei con l’aggettivo? 2_IH_Italienisch_70.indd 12 30.10.13 09: 25 13 A colloquio con Enrico Testa Testa Con l’aggettivo ho un rapporto inversamente proporzionale a quello che ho con la rima, cioè la rima a volte mi sembra, e questo è senza dubbio un’ eredità caproniana, un elemento fondamentale per la riuscita di una poesia, il che però non vuol dire che debba esserci assolutamente in chiusura. Nei confronti dell’aggettivo ho invece forse una minore disponibilità anche perché, secondo la tradizione ligustica, una certa parsimonia dell’aggettivo la ritengo essenziale. Le poesie con troppi aggettivi sono come le donne con troppi gioielli… D. …infatti anche Calvino era molto riservato, diceva: «noi liguri siamo taciturni»… Testa …sì, sì, sì… in effetti ha ragione, laconici… D. Avrei un’ultima domanda, potrebbe commentare l’ultima poesia di Pasqua di neve? [v. Appendice] Testa Questa, e come tutte le poesie di chiusura, può avere un significato, per così dire, supplementare; in effetti è una poesia che punta a dare una rappresentazione di un rapporto tra le figure umane e un’entità a cui ci si vorrebbe avvicinare, cioè a un’entità divina, trascendente, la quale però non riesce a trasmettere altro che questo ‹lasciatemi stare› come se fosse separata radicalmente dalla dimensione umana. Resta da parte sua soltanto un sentimento di pietà nei confronti di una umanità che non può meritare altro epiteto che quello di misero branco di sperduti. La parola «sperduti» finisce così per essere l’ultima parola del libro e dà il senso sia dello smarrimento del soggetto nei suoi viaggi sia delle sue esperienze esistenziali, e in senso più ampio, lo smarrimento del rapporto tra l’uomo e la categoria diciamo, dell’esistenza. D. Qui leggo appunto che «l’erba, col favore della pioggia, / ha invaso il giardino / come l’edera il muro / e le mosche la cucina». C’è quasi aggressione della natura verso le cose. Testa Questa aggressione della natura primaverile nei confronti degli uomini si fonda su una differenza fondamentale: la natura in primavera si rinnova mentre l’uomo inevitabilmente no, e questo fa sì che la natura sia quasi insolente nei confronti degli uomini; è per questo che «gli ippocastani del parco / sono tornati ad insolentirci». 2_IH_Italienisch_70.indd 13 30.10.13 09: 25 14 A colloquio con Enrico Testa D. Adesso si capisce, già… Testa Per la stessa ragione gli uomini vengono rappresentati come strinati, cioè quasi bruciacchiati dalla primavera improvvisa e si chiedono se tutte le cose che li confortano (i libri, i fiori, le luci, le voci di coloro che sono presenti e coloro che non ci sono più) siano alleate o nemiche, cioè se ci aiutino a vivere oppure siano invece a noi contrarie, e ci impediscano a volte pesantemente di continuare con la nostra esistenza. D. Grazie per il tempo che ci ha dedicato. Testa Grazie a voi. Note 1 Emmanuel Levinas, filosofo francese nato a Kautas in Lituania, di famiglia ebrea (1905-1995), teorico della fenomenologia e dell’etica. Fra le pubblicazioni principali si ricorda i commenti talmudici e i volumi Totalité e infini (1961) e Alterité et transcendence (1995). In italiano sono usciti recentemente i volumi Tra noi. Saggi sul pensare all’altro (1998) e Etica e infinito, Dialoghi con Philippe Nemo (2012). 2 Si riferisce ad una conferenza di Enrico Testa tenuta il 25 ottobre 2012 presso l’Università di Francoforte, dal titolo «L’io poetico di Sanguineti tra lirica e antropologia». 3 Zygmunt Bauman, nato nel 1925, sociologo polacco-inglese. Di recente pubblicazione: The Art of Life, Cambridge 2008 (Wir Lebenskünstler, Berlin 2010), Liquid Times. Living in an Age of Uncertainty, Cambridge 2007 (Flüchtige Zeiten. Leben in der Ungewissheit, Hamburg 2008). 4 Cesare Pavese, Lavorare stanca, Torino: Einaudi 1943, p. 29. 5 Francis Bacon, importante pittore irlandese (Dublino 1909 - Madrid 1990) di indirizzo figurativo. Il tema principale delle sue opere è il corpo umano nella sua essenzialità. Lo studio di Gilles Deleuze citato più avanti s’intitola Francis Bacon. Logique de la sensation (1981). 6 Giorgio Caproni (Livorno 1912-Roma 1990), poeta e traduttore italiano. 2_IH_Italienisch_70.indd 14 30.10.13 09: 25 15 A colloquio con Enrico Testa Appendice Poesie di Enrico Testa citate nel testo, dal volume Pasqua di neve, Torino: Einaudi 2008. Traduzioni in tedesco: Desirée Flegel, Paolo Lazzara e Antonella Menga. «Arcadia» diceva il cartello stradale. Ma nessun pastore nei pressi. Pecore sì, brade e in divagante marcia su verdi-brune colline levigate dal rullante tornio dei secoli. Miracoli in vista, zero. Per fortuna. Già alta la luna del cielo - il cielo che la parola invoca e che subito lascia sola e vuota nell’indaco (p. 7) «Arkadien» stand auf dem Schild. Aber kein Schäfer in der Nähe. Schafe, ja, sich selbst überlassen, und in abschweifendem Marsche über die grün-braunen Hügel die abgeschliffen sind durch die Drehbank der Jahrhunderte. Wunder in Sichtweite, null. Zum Glück. Der Mond steht schon hoch am Himmel - der Himmel den das Wort anfleht, und sofort verlässt allein und leer im Indigoblau. ma dove vanno questi che urtandosi in processione e seguendo direzioni opposte percorrono senza requie Oxford Street? A quali insegne obbediscono? E che reliquie adorano? 2_IH_Italienisch_70.indd 15 30.10.13 09: 25 16 A colloquio con Enrico Testa Si muovono gomito a gomito come presi in una bufera inavvertita e sottile e affrettano il passo ansioso prima che Londra torni un solo viottolo erboso (p. 11) Wohin gehen denn die hier, die in Prozessionen gegeneinander rempeln, und in gegensätzliche Richtungen laufen, rastlos; durch Oxford Street? Welchen Zeichen folgen sie? Welche Reliquien verehren sie? Sie bewegen sich dicht an dicht, wie von einem Sturm erfasst, Unangekündigt, schleichend, und sie beschleunigen ängstlich den Schritt bevor London wieder ein grasbewachsener Pfad wird anche quest’anno gli ippocastani del parco sono tornati ad insolentirci con i loro bianchi maestosi pennacchi, la bambagina dei pioppi volteggiando riprende il suo piumoso diavolío nel vento e l’erba, col favore della pioggia, ha invaso il giardino come l’edera il muro e le mosche la cucina. Finita messa, i ragazzi passano canticchiando beffardi «estote parati! estote parati! » 2_IH_Italienisch_70.indd 16 30.10.13 09: 25 17 A colloquio con Enrico Testa E loro, strinati dalla primavera improvvisa, sempre lì a chiedersi se siano alleati, o nemici, i libri, i fiori, le luci fugaci, i soffi vischiosi, le voci dolci acute invadenti nascoste nelle cortecce o nelle fessure, e per quanto tempo potranno ancora durare le imposte cadenti marce di salmastro… Qualcosa raschia sul fondo: un «lasciatemi stare» - luce di candele corona di fiele - o pianto o domanda sconosciuto o forse pietà, malcerta e fioca, per questo misero branco di sperduti (p. 126) auch dieses Jahr haben die Kastanienbäume im Park uns wieder provoziert mit ihren weißen majestätischen Büscheln, die Wollflöckchen der Pappeln wirbeln wieder und toben flaumig im Wind und das Gras hat, mit Hilfe des Regens den Garten erobert wie der Efeu die Mauer und die Fliegen die Küche. Nach der Messe laufen die Jungen vorbei und trällern spöttisch: «Allzeit bereit! Allzeit bereit! » Und sie, versengt vom plötzlichen Frühling, fragen sich immer wieder ob die Bücher, die Blumen, die flüchtigen Lichter, dei klebrigen Windstöße, die Stimmen sanft, schrill, aufdringlich versteckt in den Rinden und Ritzen 2_IH_Italienisch_70.indd 17 30.10.13 09: 25 18 A colloquio con Enrico Testa freund oder feind sind, und wie lange die brüchigen, von der Salzluft morschen Fensterläden noch halten können… Etwas schürft in der Tiefe: ein «lasst mich in Ruhe» - Kerzenlicht Kranz aus Galle - oder unbekanntes Weinen oder Fragen oder vielleicht Mitleid, unsicher und leise, mit dieser armseligen Horde von Verlorenen 2_IH_Italienisch_70.indd 18 30.10.13 09: 25