eJournals Italienisch 40/79

Italienisch
0171-4996
2941-0800
Narr Verlag Tübingen
In den Werken von Maria Messina (1887–1944) ist die Stadt Symbol eines ‘woanders’, das oft unerreichbar ist: Die Figuren, fast immer Frauen, erleben die Stadt nicht als produktiven Ort, sondern als angsterfüllten unheimlichen Raum; gleichzeitig ist die Stadt ein Ort der Wünsche und der Hoffnung auf ein erfülltes und freies Leben. Immer bleibt das städtische Ambiente außerhalb des engen Erfahrungsraums der Figuren, der auf das Haus und seine Umgebung begrenzt ist, etwa die Gasse: dunkle, geschlossene, bedrückende Orte, die sich nur scheinbar einem größeren Kontext öffnen, die aber das eingeengte Leben der Frauen im Werk von Maria Messina kennzeichnen. Mithilfe des Bildes der negierten Stadt (das die Protagonistinnen nur von ferne sehen, flüchtig, oder mit einem unerfahrenen Wissensdurst erleben) zeigen die Erzählungen von Maria Messina eine statische Gesellschaft, die sehr stark mit den alten Traditionen verbunden ist. Diese Traditionen blockieren jede Entwicklung; die moderne Welt ist in diesem Zusammenhang Traum, Illusion, Utopie, Blick auf ein Leben, an dem die stumme Beobachterin zu Hause hinter dem Fenster nicht teilnehmen kann.
2018
4079 Fesenmeier Föcking Krefeld Ott

La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina

2018
Daniela Bombara
27 DA N I E L A B O M B A R A La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Ed ecco, mi cacciavo, di nuovo, fuori, per le strade, osservavo tutto, mi fermavo a ogni nonnulla, riflettevo a lungo su le minime cose; stanco, entravo in un caffè, leggevo qualche giornale, guardavo la gente che entrava e usciva; alla fine, uscivo anch’io […] Mi sentivo sperduto tra quel rimescolio di gente E intanto il frastuono, il fermento continuo della città m’intronavano […] Perché tutto questo stordimento di macchine? E che farà l’uomo quando le macchine faranno tutto? Si accorgerà allora che il cosiddetto progresso non ha nulla a che fare con la felicità? (Pirandello 1973: 429) Milano, icona della modernità, respinge un confuso Mattia Pascal: il giovane non riesce a comprendere e ad accettare i segni di un’evoluzione tecnologica che sovrasta e annulla l’individuo per il caos rumoristico, l’insensato attivismo, la sostanziale difficoltà dei rapporti interpersonali Il protagonista è certo un escluso, ignoto ad un contesto cittadino che attraversa senza scopo; ma anche la Roma in cui si radica prendendo una stanza in affitto gli appare - dal discorso di Anselmo Paleari - una città morta, cristallizzata in un passato glorioso e destinata quindi a raccogliere solo gli scarti dell’età contemporanea . 1 Se con il romanzo la città assurge a tema centrale, è anche vero che in Italia, nazione giunta tardi alla modernità rispetto al resto d’Europa, il mondo urbano è spesso visto e vissuto con distacco e diffidenza, e comunque attraversato da tensioni difficilmente risolvibili: luogo delle infinite ma remote possibilità, dove i più audaci progetti potrebbero realizzarsi in un contesto sganciato dalle norme e dai valori della società rurale, è al tempo stesso zona dell’anomia e del disordine, labirinto in cui il soggetto perde se stesso per aver abbandonato l’armonia del suo passato ‘contadino’, e del sistema patriarcale . 2 Il cronotopo letterario della città esprime, soprattutto 1 «Roma è morta, […] chiusa nel suo maestoso passato, non ne vuol più sapere di questa vita meschina che si ostina a formicolarle intorno . […] I papi ne avevano fatto a modo loro, s’intende, un’acquasantiera; noi italiani ne abbiamo fatto, a modo nostro, un portacenere» (Pirandello 1973: 445) 2 Costituisce un’eccezione in questo quadro l’attenzione che il discorso futurista riserva alla città, anzi alla metropoli industrializzata . Valgano come esempio le parole di Marinetti nel Manifesto del Futurismo, pubblicato il 20 febbraio 1909 dalla rivista parigina Le Figaro: «Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori o polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 28 dalla seconda metà dell’Ottocento, il suo carattere ossimorico, situandosi fra ‘cielo’ e ‘inferno’, secondo la matrice biblica della ‘pura’ Gerusalemme, paradiso a cui tendere, luogo in cui le infinite potenzialità dell’essere umano si compiono, e della caotica e perversa Babilonia La rappresentazione del mondo cittadino, già complessa e contraddittoria, trova una sua configurazione particolare nelle opere di Maria Messina, scrittrice siciliana della prima metà del Novecento . 3 È possibile dire che il moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri incendiati da violente lune elettriche» (Davico Bonino 2009: 43) . Sulla sostanziale assenza, a parte l’esperienza dell’avanguardia futurista, di un vero e proprio filone metropolitano nella letteratura italiana dal secondo Ottocento alla prima metà del Novecento, vedi Restucci (1989: 170-220) . Di «natura polisemica della città», spazio utopico ma anche disumanizzante, parla Roberta Gefter Wondrich (2003: 9) sulla scorta delle indicazioni di Burton Pike (1981), per il quale la cultura occidentale è caratterizzata da una «visione bifocale» della città, «mito di perfezione e corruzione» (Wondrich 2003: 9); la stessa antinomia, sempre secondo Wondrich, si ripropone in forme più accentuate nel diciannovesimo secolo, in coincidenza con l’affermarsi della civiltà industriale . Fin dal Medioevo, comunque, la cultura cristiana ci ha consegnato un’immagine della città come «luogo di perdizione e di salvezza, di disordine e di ordine: è città terrena e città celeste, coacervo e templum» (Rella 1987: 12) 3 La vicenda critica di questa scrittrice, nata in Sicilia nel 1887 e vissuta in diversi centri di provincia del Continente, è singolare: l’amicizia epistolare con Verga, che elogia la sua prima raccolta di racconti, Pettini fini (1909), le consente di pubblicare per case editrici prestigiose nuove raccolte (Le briciole del destino, 1918, Il guinzaglio, 1921, per Treves; Personcine, 1921/ 24, per Vallardi; Ragazze siciliane, 1921, per Le Monnier), e romanzi: Alla deriva (1920), La casa nel vicolo (1921), Un fiore che non fiorì (1923), Le pause della vita (1926), per Treves . L’ultimo romanzo, L’amore negato (1928), sarà pubblicato dalla meno nota casa editrice milanese Ceschina . Messina sarà poi dimenticata sino alla riscoperta di Leonardo Sciascia, il quale nel 1981 accompagna un’edizione Sellerio di racconti della Messina, Casa paterna, con una «nota» che presenta sotto una veste inedita la figura dell’autrice, paragonandola a Verga, Pirandello, Cˇ echov, Mansfield; nelle sue opere infatti assistiamo al «preciso disvelarsi di quello stesso orizzonte umano e sociale che inesauribilmente, già da prima Pirandello veniva cogliendo: la piccola e infima borghesia siciliana e, dentro l’angustia e lo spento grigiore di una tal classe, la soffocata e angosciante condizione della donna . Come, appunto, in Pirandello: ma vissuta più dall’interno, con una sensitività più pronta ed accorata . Da far pensare a Cecov più che a Verga; e nel nome di Cecov, vero maestro ad entrambe, alla sua coetanea Katherine Mansfield» (Sciascia 1981: 59) . Dagli anni ’80 ad oggi la critica messiniana annovera una serie ragguardevole di contributi; nel corso di questo articolo saranno menzionati quelli maggiormente attinenti alla tematica dello spazio urbano . Nata a Palermo, Maria Messina si sposta continuamente in diverse realtà urbane, prima della Sicilia e poi dell’Italia, a seguito del padre, ispettore scolastico . Un ambiente cittadino ossimorico, perché individuato come mondo estraneo ma al tempo stesso fatto oggetto di curiosità e desiderio di integrarsi, è dunque esperienza di vita prima ancora che scrittura . Da ragazza Messina si trasferisce a Mistretta, poi in Centro Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 29 discorso messiniano sulla città si esprime attraverso una doppia negazione, in primo luogo perché lo spazio urbano non è descritto ma solo immaginato, sognato o desiderato da personaggi che non possono evadere da una casa/ prigione Ma anche quando si creano le condizioni per il contatto con l’ambiente cittadino, esso si rivela intrappolante, luogo di degradazione e di smarrimento identitario, o anche spazio claustrofobico, che appare chiuso e soffocante, invece che libero e aperto L’attraversamento della città inoltre non è mai legato ad esperienze di formazione; lo sguardo dei personaggi è opaco, non identifica luoghi, non attiva memorie o senso di appartenenza alla comunità di abitanti; si conferma anzi l’isolamento di chi percorre tali spazi sentendosi estraneo ad essi Infine l’ambiente urbano, caratterizzato dai segni nel nascente capitalismo, è luogo dove si sperimenta la disparità sociale, e anche la vacuità delle prime forme di consumismo; zona di affermazione del potere maschile, nella quale si costruisce il giudizio e si afferma la sanzione (Foucault 2001: 53-72), l’esterno si struttura come immagine raddoppiata e amplificata degli interni dominati da figure patriarcali, e in egual maniera annichilisce il soggetto che delle due condizioni fa esperienza Il cronotopo della città appare quindi in Messina ribaltato: erranza, dinamicità, esperienza del molteplice, evoluzione dell’individuo, si convertono in percorsi ciclici e ritornanti, stasi e falsi movimenti, unicità dell’esperire, involuzione e perdita d’identità La tematica, già presente in alcuni testi della Scapigliatura milanese e della letteratura popolare di secondo Ottocento (Brevini 2010: 141; Carli 2012: 213-224; Rosa 1982), si configura in forme nuove nel discorso messiniano, poiché la città come luogo di sopraffazione/ perdita di sé e la casa/ prigione appaiono due facce della stessa medaglia: la fuga da contesti familiari avvilenti verso la modernità che il paesaggio urbano rappresenta, già topos letterario in Verga (Guarneri 2012: 111- 130) e in altre narrazioni anche di mano femminile - si pensi a Cosima (1937) di Grazia Deledda -, non si attua in alcun modo Potremmo dire che l’ambiente urbano si nega per una terza volta proprio in quanto icona del moderno, poiché ad esso è impossibile accedere; il cronotopo rovesciato della città diventa quindi un mezzo efficace per rappresentare criticamente la società italiana del tempo, colta in un problematico momento di transizione, quando il modello patriarcale/ agrario appare ormai inadeguato, ma non si propongono soluzioni alternative, anche per la ‘chiusura’ ideologica ed economica del regime fascista Italia, ad Ascoli Piceno, dove la famiglia soggiorna a lungo, e in varie altre città della Toscana, fra cui anche Firenze; muore a Pistoia nel 1944, durante i bombardamenti La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 30 Fra la città ‘oggetto del desiderio’ dei personaggi verghiani e gli ambienti morbosi ed espressionisti degli scapigliati si pone quindi la perturbante città ‘vuota’ messiniana, vicina agli allucinati scenari pirandelliani, anch’essa icona di una falsa e imperfetta modernità, che mantiene in una condizione di sottomissione ed isolamento le fasce deboli del corpo sociale La casa microcosmo irrelato La dialettica casa/ città, interno/ esterno, focalizza in primo luogo la condizione di marginalità e reclusione della donna, alla quale è difficilmente concesso di accedere liberamente ad un ‘fuori’ emblema di libertà di azione e di progettualità; la città è allora oggetto di un desiderio costantemente frustato di autonomia e di affermazione personale Nelle maggior parte dei casi, però, ai personaggi dell’autrice - non solo donne, in effetti, ma anche giovani, poveri, malati, emarginati a vario titolo dalla società - è negata l’esperienza diretta ed autentica della città, ed essa è solo intravista da una stretta finestra, o immaginata, situata al di là di qualcosa che funge da diaframma; spesso un vicolo oscuro che inghiotte suoni e prospettive lontane, mentre le vie di contatto con l’esterno sono sottoposte al controllo vigile del dominio maschile Avviene allora, come ha notato Cristina Pausini, un rovesciamento della «religione del focolare» verghiana poiché Messina «con urgenza straordinaria denuncia la condizione di vittima della donna in seno alla famiglia patriarcale intesa come istituzione repressiva di controllo e schiavitù» (Pausini 2001: 73) «Nicolina cuciva sul balcone, affrettandosi a dar gli ultimi punti nella smorta luce del crepuscolo La vista che offriva l’alto balcone era chiusa, quasi soffocata, fra il vicoletto, che a quell’ora pareva fondo e cupo come un pozzo vuoto, e la gran distesa di tetti rossicci e borraccini su cui gravava un cielo basso e scolorito» (Messina 2009: 13) . 4 La protagonista di La casa nel vicolo, segregata in casa dal cognato che la costringe al doppio umiliante ruolo di cameriera e schiava d’amore, può solo contemplare dall’interno frammenti del paesaggio urbano: manca uno sguardo che si rivolga al centro, al cuore pulsante di vita delle vie cittadine 5 4 Il romanzo La casa nel vicolo è pubblicato per la prima volta in tre puntate da Nuova Antologia nel 1920, poi da Treves nel 1921; la prima edizione Sellerio data al 1982 . Per le citazioni si segue l’edizione del 2009 5 La prospettiva elevata rimane una costante del romanzo: «I tetti splendevano nel Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 31 Il vicolo a ridosso dell’abitazione limita e chiude la visione, e al tempo stesso smorza la luce, amalgamando l’ambiente interno ad un esterno anomalo, perché fortemente circoscritto; la stessa spinta verso l’alto dei tetti è appesantita dal grigiore del cielo Della città distante si avvertono solo i suoni ridotti e deformati dall’imbuto del vicolo, che ingoia ogni manifestazione vitale: «C’era nell’aria un tepore quasi primaverile, un vasto ronzìo fatto di mille voci rotte e lontane, di mille rumori confusi» (Messina 2009: 68) Il motivo della donna alla finestra, «imprigionata» dai familiari o dalla propria condizione personale, è frequente nelle opere di Messina: Catena, in Il dovere (Le briciole del destino, 1918), costretta ad allevare da sola il figlio poiché il marito ha disertato emigrando in America, spalanca una «piccola finestra che dava nel vicolo fondo come un pozzo», e osserva: «i muri scuri delle case altissime che chiudevano il vicolo umido e brulicante, bucherellati da mille balconcini, parevano levarsi con uno sforzo verso un rettangolo del cielo grigio e lontano» (Messina 1988: 259) . 6 La sua situazione senza uscita appare dunque «preparata dall’ambiente» (Barbarulli e Brandi 1996: 34), come avviene per Lucia, soffocata dalla prepotenza di un padre anziano in Gli ospiti (Piccoli gorghi, 1911): il tanto desiderato contatto con l’ambiente cittadino resta confinato in una visione obliqua, ancora una volta dalla finestra, che mostra la consueta inquadratura scorciata e metonimica: «All’infuori del cielo e delle case che, coi loro tetti rossicci e muscosi, pareva si prolungassero fino alle montagne bigie, non si vedeva altro» (Messina 1988: 86) Spezzettata dallo sguardo desideroso di chi è recluso all’interno, la città risulta inoltre mediata e allontanata dall’immagine inquietante del vicolo: profondissimo, oscuro, umido, brulicante - forse di insetti -, soglia infera la cui materia densa e nera crea un diaframma con l’esterno, individuandone l’alterità rispetto allo spazio della casa . 7 La viuzza buia è infatti, in La casa nel vicolo, zona di perdizione, di peccato, colpevolmente attraente: qui Nicolina vede la Rossa, «sudicia, laida, scarmigliata», e arrossisce pensando che sia stata battuta dall’amante, ripetendo poi fra sé «la parola riflesso affocato dal sole . Un torraiolo stava immobile sul cornicione come un grande uccello di bronzo» (Messina 2009: 63) 6 La raccolta-Le briciole del destino, pubblicata per la prima volta nel 1919 da Treves con la prefazione di Ada Negri, è attualmente inclusa nell’edizione Sellerio del 1988, dal titolo Piccoli gorghi; essa comprende anche la raccolta omonima, edita da Sandron nel 1911, e Pettini-fini-(Sandron 1909) 7 «Vicoli ‘bui ed angusti’ costeggiano le case paterne e maritali per preservarle dalle invadenze sfrontate ed abbaglianti dell’orizzonte potenziando, per reazione, nel personaggio, l’attività risarcitiva dell’immaginazione e della memoria» . (Muscariello 1994: 334) La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 32 piena di seduzioni» (Messina 2009: 68, 69); il destarsi dei sensi la renderà vulnerabile all’aggressione sessuale da parte del cognato Se il vicolo, che blocca l’azione dei personaggi verso il fuori convogliandone l’inanità/ ignavia, può essere assimilato ad un Antinferno dantesco, il contesto urbano sarà allora una ‘città di Dite’, riconoscibilmente infernale, corrotta e corruttibile La città-inferno: trappola, finzione e perdita di sé Nel momento in cui è finalmente possibile fare esperienza del contesto urbano esso diventa quindi scenario di un’inquietante ed ingestibile alterità, si trasforma in «città degli incubi», esterno costellato da trappole, violenza, malignità . 8 La stessa fisionomia dello spazio cittadino si deforma e si ribalta nel suo contrario: il fuori assomiglia al dentro, e quando viene attraversato si rivela altrettanto soffocante e claustrofobico, in un gioco di specchi che si pone in opposizione al Bildungsroman di matrice romantica, dove la fuga da spazi chiusi - la casa, le tradizioni culturali e sociali - verso luoghi aperti/ liberi era possibile e attuabile, in particolare per le donne . 9 8 L’espressione è tratta dal saggio di Michele Righini, Città degli incubi (2003: 142- 152), che prende in analisi tutt’altro ambito letterario - il giallo italiano contemporaneo e, in subordine, il noir statunitense -; ma gli scenari urbani elaborati in tempi recenti, disgregati e inquinati dal predominare di loschi interessi economici sono, sia pur lontanamente, affini alle città rappresentate nelle opere di Maria Messina, anche in riferimento alla presenza di una realtà mercificata che appare estranea, futile, corruttrice 9 «La casa non è solo luogo di centralità narrativa, ma anche ideologica, perché è espressione di norme maschili, e da ciò deriva l’inquietante per le donne, con rimozioni, crepe, fughe» (Barbarulli e Brandi 2004: 417) . Un esempio emblematico del «doppio» spazio negativo e imprigionante - la casa e la città - è dato dalla novella Casa paterna (Le briciole del destino, 1918): Vanna abbandona il marito che non l’ama e la grande città annientatrice - «Per le vie di Roma mi par d’essere una formica . Ma lui conosce tutti . Mi pare tanto strano che si possano avere degli amici tra quella folla che va e va senza tregua» (Messina 1988, p . 163) -, per ritrovarsi in un luogo altrettanto inospitale, la casa della sua infanzia trasformata e riadattata alle esigenze delle cognate . «La progressiva alienazione di Vanna si verifica sia all’esterno sia all’interno della casa Fuori Vanna si sente una formica nelle vie della grande città animata da una folla che si muove senza sosta; è questa un’immagine che traduce il frenetico ritmo cittadino che stordisce e disorienta, alimentando nella protagonista un sentimento d’angoscia sempre più intenso . All’interno dell’area domestica, invece, la situazione si fa ancora più tragica, poiché Vanna viene letteralmente sospinta ai margini della casa per fare spazio al marito e ai suoi amici» . (Pausini 2001: 38) . Nelle opere di Messina i personaggi vivono in un’angosciosa estraneità ad ogni ambiente e situazione; figure isolate, che rifiutano i parametri ideologici della tradizione ma al tempo stesso non sono ancora in grado di elaborare nuove soluzioni . Tale condizione, che raffigura con efficacia la problematica fase di transizione della società italiana ai primi del Novecento, progressivamente sganciata dal mondo patriarcale ma ancora distante dalla realtà industriale, si configura Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 3 3 Nel racconto L’avventura (Il guinzaglio, 1921) la città è un luogo decisamente pericoloso per Rosalba, impiegata alle poste; tornando dal lavoro la ragazza è disposta ad attraversarla di sera soltanto insieme ad una guida caratterizzata da maggiore esperienza, la madre anziana . 10 In sua assenza la protagonista rimane esposta al desiderio erotico dell’avido collega Lavagna, con il quale è costretta a percorrere «la strada, nera e lucente, sotto le lampade tinte di turchino», «ormai deserta», per essere spinta infine subdolamente in un vicolo «stretto scuro deserto»; qui «la luce lividiccia di un fanale, nel vicolo, lumeggiò violentemente la faccia rugosa di lui, trasformata - gli occhi di lui che non avevano mai luccicato di tanta cattiveria, lì, nell’ufficio» (Messina 1996: 99-100) La città si snoda su due livelli, in diversa misura angoscianti nell’atmosfera notturna: strade larghe illuminate debolmente, prive di presenza umana, comunque meno orrifiche dei vicoli dalla luce livida, stretti, oscuri, imprigionanti, che rivelano il Male nel volto deformato del corteggiatore/ stupratore Per evitare la violenza e offrire una minima resistenza, la ragazza «si inginocchiò nel fango […] Rosalba risaliva il vicolo di corsa, senza ascoltare; il vicolo interminabile dal quale non sarebbe uscita mai Pareva che il buio, e le altezze smisurate dei muri lucidi e tetri l’avessero inghiottita La salita e il pesante fango della sottana impacciarono la sua corsa» (Messina 1996: 100) . 11 attraverso una duplice dimensione spaziale intrappolante: «Nella narrativa di Maria Messina lo spazio della casa funge da metafora pregnante dei destini senza scampo dei suoi personaggi . Maschere affette dalle sindromi opposte della claustrofobia e della claustrofilia, essi si dibattono drammaticamente tra le atmosfere asfittiche in cui sono imprigionati e la coscienza che, fuori dalle mura delle dimore avite e coniugali, non c’è che dispersione e disgregazione del proprio io» (Muscariello 2004: 463) . La tensione verso il fuori e verso il nuovo si esplicita proprio nelle immagini conflittuali della città e ciò qualifica la modernità delle opere di Messina, che presentano, come avviene in modi diversi nelle opere pirandelliane, una società «profondamente destabilizzata, in cui tutti, donne e uomini, sono disorientati dal flusso dei ruoli» (Haedrich 1995: 11) . Si veda anche, sempre di Haedrich, il più recente Modernity and Gender-Role Conflict in Maria Messina (2000), scritto in collaborazione con Lucienne Kroha 10 Anche nel racconto L’ora che passa (Messina 1988: 108-113) Rosalia, maestra, è accompagnata a casa dal padre . La prima edizione della raccolta Il guinzaglio, in cui è inserita L’avventura, è del 1921 (Milano, Treves) 11 «L’irrisolto oscillare dei personaggi della Messina tra le sofferenze della reclusione ed il bisogno ad ogni costo di un’identità, carica anche il vicolo di una doppia valenza: solitamente percepito come limite estremo della gabbia, esso, però, come nelle novella L’avventura […] può anche, metaforicamente, farsi trappola in cui smarrire il proprio io socialmente riconosciuto e rispetto alla quale le stanze della casa paterna funzionano da via di fuga, da sospirato perché tranquillizzante riparo» . (Muscariello 1994: 334, n . 20) . La strada ha una forte connotazione simbolica nelle rappresentazioni della città La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 3 4 A differenza delle altre donne sin qui nominate, Rosalba comunque lavora, sembra quindi vivere attivamente lo spazio esterno: ma in realtà anche in questo caso abbiamo della città un’immagine carente, ridotta a strade e vicoli; mancano piazze, luoghi di ritrovo, e dei palazzi si evidenziano solo i muri soffocanti, raffigurati con tecnica espressionista Questa città innominata è un non-luogo, un rischioso percorso fra due territori noti e rassicuranti: la casa e l’ufficio . 12 Alla realtà urbana si collega dunque sempre un senso di minaccia, un potenziale smarrimento identitario; ancora ne La casa nel vicolo la tanto desiderata passeggiata per le vie cittadine, proposta dal nipote di Nicolina, Alessio, l’unico in grado di opporsi al padre/ padrone, mette drammaticamente in rilievo l’emarginazione della famiglia ormai reclusa, al di fuori del tempo, della storia e della normalità quotidiana Un passante osserva infatti: sin dal Medioevo, quando il perimetro sacrale urbano contiene «i luoghi di passaggio del pellegrino, del peccatore in terra e quindi [le strade] sono i luoghi dell’espiazione, i luoghi del periglio e della prova […], dove ci si cimenta con la tentazione e con l’errore» (Quintavalle 1987: 78) . Il tentato stupro di Rosalba è quindi martirio, che di fatto sanziona la ricerca, da parte del personaggio, di autonomia e identità sociale 12 Con l’espressione non-luogo non intendiamo riferirci alla nota definizione di Augé; lo studioso identifica infatti come non-luoghi quelle zone della città (centri commerciali, aeroporti, autostrade) attrezzati per delle specifiche funzioni, in cui gli individui agiscono senza entrare in relazione fra di loro; zone non identitarie, né relazionali e storiche, come lo erano i luoghi tradizionali cittadini . Questi invece, nelle civiltà classiche fino al Novecento, costituiscono i cui punti focali dell’ambiente urbano, quali monumenti, chiese, piazze, che convogliano memorie e rispecchiano la visione del mondo dei gruppi sociali che hanno creato la città; la forma urbana è quindi forma simbolica e consente a chi la percorre di sentirsi inserito in un ambiente ‘proprio’ e accogliente (Rykwert, 1981) . Lo spazio cittadino che attraversano i personaggi di Messina si situa temporalmente e ideologicamente ‘fra’ le due posizioni presentate: è un ambiente privo di ricordi, che non si connette alla cultura di chi lo percorre . É raro infatti che i diversi elementi del contesto urbano siano commentati, ma neanche nominati, quasi come se chi attraversa la città non la vedesse veramente, e i vari complessi monumentali, edifici, o altre componenti dell’arredo cittadino non vengono mai associati a credenze, tradizioni, memoria storica della comunità . I tasselli dell’insieme/ città sono irrelati, vuoti di significato, in essi l’identità dell’individuo non si rafforza ma si sperde, perché non si aggancia ad un sistema di dati spaziali che rispecchi un sistema di valori; la città disgregata di Messina non è però in alcun modo l’ambiente urbano della surmodernità, nata dalla globalizzazione e dall’era postindustriale, di cui parla Augé, dove il luogo è dissolto nella funzione che esplica . Nel discorso della scrittrice si intravede comunque la città contemporanea, già pienamente novecentesca, come «insieme non omogeneo di elementi» (Righini 2003: 142), zona di passaggio e non di sosta, «della discontinuità, della eterogeneità, della frammentazione» (Mariano 2012: 63), ‘sentita’ come luogo estraneo e spersonalizzante; «spazio vuoto», caratterizzato dalla «sospensione della decisione e della storia» (Ilardi 1999: 10), che esprime l’inanità e la crisi di valori dell’età contemporanea Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 35 «Sono scappate dal figurino della bisnonna … In verità le due signore non vecchie, dai goffi abiti a svolazzi e falpalà, le cappotte di velluto a cuffia, stonavano nello sfondo vario e animato della strada» (Messina 2009: 132- 133) È proprio l’ora del passeggio, e Alessio avverte un profondo senso di inadeguatezza: «cercò, senza riuscirvi, di allontanarsi dalle strade belle, troppo frequentate, e non parlò più Sentiva che le sue donne erano vestite male […] E andava umiliato e smarrito, a testa bassa, pentito di aver condotto fuori la famiglia La Palazzata gli pareva più grande e più splendida, la via più vasta, più affollata del solito, e gli pareva che il Nettuno dall’alto lo guardasse con compatimento» (Messina 2009: 133) . 13 13 I riferimenti al Nettuno - certamente una statua - ed alla Palazzata accanto al mare, dove la famiglia si reca subito dopo, sembra identificare la città siciliana del romanzo con Messina; a ciò si aggiunge la menzione del giornale Scilla e Cariddi, rivista messinese fondata da Carmelo Allegra nel 1843 . L’ambientazione non è a mio parere casuale: la Messina degli anni ’20 è una città che ha subito, a causa del terremoto del 1908, una profonda frattura con il passato, e cerca faticosamente di ricomporre la propria identità perduta . Ma sono passati alcuni anni e ormai la convulsa volontà di ricostruzione del dopo-terremoto «si spegneva man mano nella desolazione dell’inerzia . L’atmosfera cittadina tendeva a tingersi di un grigio indistinto» (Campione 2009: 18) . La città sopravvissuta al disastro appare dominata dalla speculazione economica, e in essa si confermano i vecchi poteri con chiuse logiche familistiche e clientelari, mentre diminuiscono le vivaci attività mercantili e portuali del passato; la «vita nella polis […] è accettazione, mai iniziativa, ricerca di agire, solo inevitabile assoggettamento per la conservazione del sé residuo» (Campione 2009: 28) . In questo contesto i personaggi di Lucio, padre tiranno che si arricchisce con una sordida attività di usuraio, e dei passanti malevoli che inchiodano la famiglia di Nicolina alla propria emarginazione, sono ipostasi della città stessa come luogo chiuso, immutabile, devitalizzante come e più della casa, poiché l’esperienza cittadina si configura come falsa promessa di libertà, e ad essa segue l’inevitabile disillusione di un’esistenza senza evoluzione: «Le strade, le piazze delle città […] sono costellate dai rottami di tutto ciò che cominciavamo ad essere, di tutto ciò che saremo potuti divenire, di tutto ciò che siamo diventati . Le città sono un tessuto di ripetizioni come la vita» (Vergine et al . 1985: 25) . L’irrisione sociale della società cittadina colpisce anche la coppia padre e figlia in Ti-nesciu (Piccoli gorghi); i protagonisti vengono disprezzati e ridicolizzati anche per l’estrema povertà, che non consente alla ragazza di comprarsi abiti nuovi . Il padre porta la figlia Liboria a passeggio nella speranza che conosca qualcuno e si sposi, ma in realtà i due attraversano soltanto di sera i luoghi deputati all’incontro amoroso e alla socialità - il Corso, lo chalet -, per evitare che l’occhio malevolo degli abitanti derida Liboria per il vestiario fuori moda e l’età attempata: «La conduceva ogni sera lungo il corso; salivano sino allo chalet, e seduti su una panchina, al vento o all’umido o al chiaro di luna, vi rimanevano un pezzo, muti, immobili e tristi, fin che lo chalet rimaneva deserto . Liboria, poi che vestiva assai La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 36 Illusoria quindi l’immagine della città come luogo migliore rispetto al ristretto ambiente familiare; Mariangelina, protagonista de Lo scialle, recandosi a Palermo, sede della moda, spera di fare il salto di qualità diventando una sarta di alto livello: «Pareva ubriacata dall’aria di Palermo […] Com’era bello vivere in città! I palazzi, le carrozze, le vetrine piene di cose bellissime e splendenti, le donne che passavano rapide sui tacchi alti e sottili, lasciandosi dietro un gran profumo, tutto le si confondeva nella mente, e il sonno le si animava con le cose vedute nella giornata, così che, svegliandosi e uscendo, le pareva di continuare a sognare» (Messina 1988: 155) In realtà i paesani, infastiditi dalla pretesa della ragazza di portare lo «scialle» come le borghesi, sanzionano la presunzione di Mariangelina che tenta una scalata sociale nei fatti impossibile, confondendola con l’anima corrotta della città in cui si è gioiosamente immersa: il giovane che l’ha accompagnata viene creduto il suo amante, la sarta perde i clienti, ed infine accetta di tornare a Palermo diventando realmente l’amante del suo accompagnatore, come il paese aveva malignamente insinuato S’intravede la trama de L’esclusa di Pirandello, ed è proprio il contatto degradante con l’ambiente cittadino a creare lo scollamento fra la protagonista e il luogo d’origine, determinandone l’emarginazione Una riconoscibile situazione pirandelliana è anche nel romanzo Un fiore che non fiorì, pubblicato da Treves nel 1923; anche in questo caso il contesto cittadino si impone, definendo le linee guida della narrazione In un imprecisato centro toscano Franca, Fanny, e un gruppo di amiche attraversano lo spazio di una città/ palcoscenico per recitarvi il gioco della seduzione, 14 modestamente, preferiva uscir di sera nella luce incerta dei lampioni» (Messina 1988: 94) . L’esperienza della città è qui fortemente contraddittoria, ed impregnata di un desiderio costantemente frustrato; la città è negativa anche a livello economico, poiché «separa, divide due mondi e esprime una società con forti differenze sociali» (Restucci 1989: 254) 14 «Sarebbero andate su è giù per il Corso, abbellito dalla luce delle lampade elettriche e dalla folla, come uno scenario; insieme avrebbero incontrato le solite amiche: ‘Il piccolo stato maggiore del tennis’ come lo chiamava l’ingegnere Paolini […]; a guardarle tutte assieme (fresche, gaie, sorridenti, con abiti succinti, o chiari come ali di farfalle, o scuri che mettessero in mostra la bianchezza delle braccia nude e del collo), parevano tutte graziose . Senza dirselo, cercavano di aggrupparsi con armonia, quasi fossero sempre pronte a farsi un ritratto»; «Le signorine passeggiavano su e giù, giù e su per il Corso abbellito dalla luce delle lampade, come un grande scenario nell’ora della rappresentazione» (Messina 1923: 46-47, 65) Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 37 del quale sarà artefice e vittima proprio Franca, innamorata del siciliano Stefano, e ricambiata con molta esitazione: la modernità e disinvoltura della ragazza attraggono infatti e respingono al tempo stesso il giovane, profondamente legato alle tradizioni isolane Quando casualmente la protagonista andrà a vivere proprio nel paese di Stefano, abbandona le tecniche di corteggiamento della città ma non convince l’uomo che ama, incapace di perdonarle il passato, come Rico Verri nella novella di Pirandello Leonora, addio! (1910) In entrambi i casi troviamo una città/ miraggio, dove sembra possibile ogni audacia e trasgressione, in nome di un comportamento moderno e ‘continentale’; in realtà il palcoscenico cittadino è un luogo ficto, dedito ad un consumismo futile e démodé Nel momento in cui Franca lascia il paese di Stefano e torna in città, non ritrova più senso e bellezza nel Corso: «Rivide i negozi, che esponevano piramidi di pezze di panno sulle panche messe fuori degli usci; le vetrine che pareva non avessero cambiato le loro mostre da qualche anno; la primaria libreria piena di ninnoli da bazar e di libri dalle copertine appariscenti che pochi sfaccendati si fermavano a contemplare Era come se qualcuno le dicesse: - Guarda! Guarda le cose che pure ti sono piaciute… Sì, anche lei si era fermata ad ammirare gli oggetti affastellati nelle vetrine .» (Messina 1923: 143) La moderna vita cittadina non rappresenta un’alternativa valida all’immobilismo della società patriarcale, perché anche la prima non comporta alcuna evoluzione, e si snoda secondo scansioni temporali statiche, ossessivamente iterate: «Subito, con la rapidità dello svolgersi di una pellicola sul telaio di un cinematografo, rivide le strade della città; le sale ben note; […] i salotti delle amiche di zia Fabiana dove si incontravano le stesse facce, si ripetevano le stesse chiacchiere; si accettavano le stesse paste comprate da tutti nella primaria pasticceria .» (Messina 1923: 164-165) 15 15 Il discorso di Georg Simmel (1995) sulla città moderna, come luogo che determina nel soggetto l’intensificazione delle esperienze e la moltiplicazione degli stimoli esterni, provocando un senso di illusorietà, vanità ed effimero dell’esistenza, e conseguente perdita dell’identità sociale, prende in esame contesti urbani più vasti e complessi, quali le metropoli, ma può essere applicato alla cittadina di provincia abitata da Franca, grottesco palcoscenico di finzioni La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 3 8 Il fallimento di Franca, paralizzata progressivamente da una malattia psicosomatica, è da imputarsi anche al fatto di non aver saputo far proprio il nuovo che l’ambiente cittadino rappresenta, poiché ad esso sovrappone l’antica e tradizionale ricerca del marito; la realtà della città sembra allora insinuarsi come un corpo estraneo e indecifrabile nella personalità romantica della ragazza, devitalizzandola: ne consegue immobilità e morte Nell’ultimo romanzo del 1928, L’amore negato, Messina presenta invece un personaggio deciso ad affrontare la città, cogliendone le opportunità che essa offre di ascesa sociale: Severa impianta una modisteria, sacrificando ai suoi interessi gli affetti familiari, mentre la sorella Miriam rimane alla finestra, a contemplare la ‘brutta‘ piazzetta di Santa Maria dove si svolgono i matrimoni e lei sogna il proprio Lo sguardo di Miriam inquadra uno spicchio di città in decadenza, su cui pesano assurde tradizioni che impediscono il cambiamento «La piazza, di solito poco popolata, era chiusa di qua dal palazzo dei nobili Renzoni, alto alto, col muro color di rosa che diventava rossiccio appena pioveva e il nespolo che nascondeva due finestre; di là da un casone, maestoso e cadente, che doveva essere atterrato per ingrandire la strada, la rua di Carlomagno (e i lavori non erano mai cominciati per non voler distruggere un ponticello a colonnini sul quale si diceva avesse posato i piedi Carlomagno in carne e ossa); dirimpetto al casone c’era la chiesetta di Santa Maria Inter Vineas, col campanile mozzato da un fulmine, il forno allato al campanile, e, attaccata alla chiesa, la canonica .» (Messina 1993: 11) 16 Situata all’inizio della narrazione, la descrizione ne costituisce la chiave di lettura: l’angusto centro di provincia, che da vari indizi risulta essere Ascoli Piceno, non consentirà alle sorelle di realizzare i loro progetti, poiché la modisteria fallisce, e Severa impazzita, e inutilmente innamorata di un suo dipendente lo cerca in una città/ labirinto, dove percorre sempre gli stessi luoghi nella speranza di incontrarlo . 17 Miriam, corteggiata da un ricco don- 16 Il romanzo è pubblicato la prima volta a Milano da Ceschina nel 1928 17 La città come realizzazione pratica del labirinto, di questo «antico sogno umano» è un archetipo culturale, sottolineato fra gli altri da Walter Benjamin (2000: 481), anche in riferimento agli insediamenti urbani a lui contemporanei . La città/ dedalo riproduce in sé le funzioni di ogni configurazione urbana, e quindi «si caratterizza come luogo di memorie (perché nei propri percorsi urbani quotidiani, l’individuo scopre tracce del passato individuale e collettivo) e d’incontri (d’incontri occasionali, in virtù della propria Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 39 giovanni nelle piazzette affollate della cittadina che diventano per lei emblemi della propria timida passione, è presto dimenticata La città quindi non mantiene le sue promesse: negata allo sguardo dei protagonisti, che mai riescono a coglierla interamente, si sottrae anche alla loro esperienza, eludendone le aspettative, confinandoli ai margini del tessuto urbano; o al contrario, li intrappola nei suoi meandri bui e profondi, e li corrompe Scenario del ‘falso movimento’ dei personaggi, di un esterno ingannevole poiché preclude ogni possibilità di fuga dai «perimetri claustrofobici di case paterne e maritali» (Muscariello 2012: 701) l’immagine della città messiniana sembrerebbe prospettare una latente debolezza nella volontà di critica dell’autrice, come afferma Maria Di Giovanna: «La sconsolata rappresentazione della condizione femminile nell’opera della scrittrice siciliana presenta in realtà due facce contrapposte: da un lato la denuncia che è esaltata proprio dall’assenza di alternative; dall’altro una sensazione di impotenza che mina alle radici qualsiasi carica eversiva e che, oltre a più profonde motivazioni, si genera da una sostanziale moderazione della contestazione della Messina, la quale se si indirizza verso gli aspetti più vessatori del sistema patriarcale, non arriva a mettere in discussione la divisione sessuale dei ruoli .» (1989: 33) In realtà il valore della denuncia consiste proprio nella coscienza lucida della crisi - e dell’orrore - di un sistema patriarcale violento e vessatorio, ma al tempo stesso nella percezione realistica e disincantata dell’impossibilità - in quel momento storico - di modificare l’esistente «È la stessa ‘naturalità’ ed eternità del patriarcato ad andare in frantumi […]; quasi tutta la narrativa messiniana è leggibile brulicante complessità)» (Agustoni 2000: 61) . Ma nel caso di Severa il suo percorso nel labirinto/ città non è il libero vagabondaggio del flâneur, di cui parla Benjamin, ma un itinerario obbligato ed ossessivo - la donna percorre ogni sera le stesse piazze e vie dell’impiegato che ha licenziato, ormai sposato con un’altra -, finalizzato a trovare qualcosa che in realtà non si è perduto, poiché non lo si è mai posseduto: una passione non interessata, sganciata dalla pura logica economica . La città che Severa attraversa febbrilmente non è contenitore di memorie, ma piuttosto emblema di una mancanza, di una vita negata all’amore; non è occasione di incontri, ma rivelazione a se stessi della propria solitudine . La protagonista infatti non incontra nessuno per le vie, anzi si nasconde per non essere vista, e l’esperienza della città, angosciosa e spersonalizzante, determina nel personaggio una progressiva alterazione mentale, sino alla demenza La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 4 0 anche come la rappresentazione e la messa a tema di un passaggio della coscienza o anche solo come il raggiungimento di una soglia nella quale la coscienza è possibile [ . .]: coscienza amara di una desiderata ed impossibile libertà .» (Sapegno 2012) Impossibile per l’arretratezza di una società ancora a dominanza rurale, a livello economico e culturale; e a ciò si aggiunge, lo si è già accennato, la stasi storica della dittatura fascista La rappresentazione a specchio della casa e della città come luoghi ugualmente limitanti, ed anche distruttivi - dell’autonomia, della personalità, dell’esistenza stessa dei personaggi estranei, o contrari, al sistema di dominio dei padri - rende evidente quindi la forza e la modernità della posizione di Messina, che non offre facili soluzioni, ma mostra come unica ‘via di fuga’ la consapevolezza dell’assoluta negatività di uno stato di cose apparentemente immutabile, di fronte al quale è possibile solo adattarsi con sofferenza . 18 Ma sarà ancora L’amore negato a determinare una svolta, arricchendo di significazioni positive l’immagine dello scenario urbano: nella conclusione del romanzo Miriam, autonoma dal punto di vista economico poiché ha trovato un semplice lavoro di operaia, finalmente può attraversare liberamente la città, godere della sua bellezza, comprare oggetti La ragazza ha compiuto quell’«oltrepassamento» - della tradizione e delle convenzioni -, che secondo Barbarulli e Brandi costituisce il tema fondamentale delle opere di Messina; 19 un superamento doloroso, ma attuato con «uno straordinario senso pratico ed un equilibrio psicologico inconsueti nei personaggi tratteggiati dalla penna dell’autrice» (Pausini 2001: 119) 18 A volte invece con un’insperata serenità, che non sembrava possibile date le condizioni di partenza; così avviene a Miriam, la cui esperienza di «incontro» con la città conclude il percorso tracciato nel presente contributo . Allo stesso modo Camilla nell’omonimo racconto (Ragazze siciliane 1921), costretta alla clausura da un fidanzato geloso - «Per tre anni non s’era affacciata al balcone, non era uscita altro che di sera, qualche volta, sullo stradone solitario, perdendo l’abitudine di camminare nelle vie della città» (Messina 1989: 126) -, non accetta di essere offerta ad un pretendente qualunque che la disprezza perché ‘già usata’, e rivendica la sua autonomia, che comporta comunque la condanna allo zitellaggio: «E le parve, sola, di esser libera e fresca e nuova, come le rose che odoravano nella notte estiva» (129) 19 «I sentimenti di inquietudine, di spaesamento, espressi dai suoi personaggi femminili, […] legati alla immutabilità della condizione socioculturale in cui vive la donna reale fra Otto e Novecento, esprimono sofferenza proprio perché, per loro tramite, l’autrice comincia ad andare oltre, appunto ad oltrepassare il confine di una tradizione . E l’oltrepassamento segna una lacerazione non più rimarginabile» (Barbarulli e Brandi 2004: 28-29) Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 41 Ed esso comporta anche un rapporto finalmente armonico con il contesto cittadino: «Trotterellando nel viale dei tigli, fu contenta di andare dentro la città Le prime foglie erano spuntate sui rami degli alberi che parevano secchi, e mammole e giunchiglie fiorite nei giardini riempivano l’aria di profumo Tutto le pareva bello, da allargarsi il cuore .» (Messina 1993: 116) Abstract In den Werken von Maria Messina (1887-1944) ist die Stadt Symbol eines ‘woanders’, das oft unerreichbar ist: - Die Figuren, fast immer Frauen, erleben die Stadt nicht als produktiven Ort, sondern als angsterfüllten unheimlichen Raum; gleichzeitig ist die Stadt ein Ort der Wünsche und der Hoffnung auf ein erfülltes und freies Leben Immer bleibt das städtische Ambiente außerhalb des engen Erfahrungsraums der Figuren, der auf das Haus und seine Umgebung begrenzt ist, etwa die Gasse: dunkle, geschlossene, bedrückende Orte, die sich nur scheinbar einem größeren Kontext öffnen, die aber das eingeengte Leben der Frauen im Werk von Maria Messina kennzeichnen - Mithilfe des Bildes der negierten Stadt (das die Protagonistinnen nur von ferne sehen, flüchtig, oder mit einem unerfahrenen Wissensdurst erleben) zeigen die Erzählungen von Maria Messina eine statische Gesellschaft, die sehr stark mit den alten Traditionen verbunden ist Diese Traditionen blockieren jede Entwicklung; - die moderne Welt ist in diesem Zusammenhang Traum, Illusion, Utopie, Blick auf ein Leben, an dem die stumme Beobachterin zu Hause hinter dem Fenster nicht teilnehmen kann .- Summary In the works of Maria Messina (1887-1944) the city is a symbol of the ,elsewhere‘, and almost always unattainable for the protagonists, mainly women, who experience the city not as a productive place, but as an eerie, fearful one At the same time, the city is a space resonant with wishes and unfulfilled hopes for meaningfulness and a self-determined life (for a meaningful and self-determined life) The urban environment remains outside of the protagonists' narrow experience , which is limited to the house and its surroundings, for example the narrow alleyway: a dark, closed, and oppressing space, seemingly opening up to greater contexts, but characteristic of the restricted lives of the women protagonists in the work of Maria Messina Through the metaphor of the ,denied‘ city (which the protagonists only see from a distance, fleetingly, or with the urge of the unexperienced to study), the stories of Maria Messina show a static society, strongly linked to La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 42 old traditions These traditions block any development; the modern world in this context seems a dream, an illusion, an utopian vision of life, in which the mute observer at the window at home cannot participate Bibliografia Agustoni, Alfredo: Sociologia dei luoghi ed esperienza urbana . Roma: Franco Angeli 2000 Benjamin, Walter: Parigi, capitale del XIX secolo. Progetti appunti e materiali 1927-1940 . A cura di Giorgio Agamben . Traduzione di Gianni Carchia et al ., Torino: Einaudi 1986 Barbarulli Clotilde e Luciana Brandi: I colori del silenzio: strategie narrative e linguistiche in Maria Messina. Ferrara: Tufani 1996 Barbarulli, Clotilde e Luciana Brandi: «Appartenenze, resistenze e transiti: nel riflesso inquietante dello spazio domestico», in: Lo spazio della scrittura. Letterature comparate al femminile . A cura di Tiziana Agostini, Adriana Chemello et al ., Padova: Il Poligrafo 2004, pp . 417- 418 Brevini, Franco: La letteratura degli italiani. Perché molti la celebrano e pochi la amano . Milano: Feltrinelli 2010 Campione, Giuseppe: «Messina ‘fatta e disfatta ad ogni colpo di remo’», in: La furia di Poseidon, v . 1 . A cura di Giuseppe Campione, Gianni Puglisi, Paola Callegari, Cinisello Balsamo: Silvana 2009, pp . 17-34 Carli, Alberto: «Città di carne . Luoghi e temi cittadini nella letteratura popolare e giovanile milanese di Secondo Ottocento», in: La città e l’esperienza del moderno A cura di Mario Barenghi, Giuseppe Langella, Gianni Turchetta . Tomo III, Pisa: Ets, 2012, pp . 213-224 Davico Bonico, Guido (a cura di): Manifesti futuristi, Milano: Rizzoli 2009 Di Giovanna, Maria: La fuga impossibile: sulla narrativa di Maria Messina . Napoli: Federico e Ardia 1989 Foucault, Michel: Spazi altri. I luoghi delle eterotopie . A cura di Salvo Vaccaro [«Space, Knowledge and Power (conversazione con P . Rabinow)», in: Skyline, marzo 1982, pp . 16-20], Milano: Mimesis 2001 Gefter Wondrich, Roberta: «Introduzione» a: «La città come testo» . Atti del convegno Trieste, 3 dicembre 2003 . Prospero, Rivista di culture anglogermaniche, X (2003), pp . 7-14 Haedrich, Alexandra: L’opera narrativa di Maria Messina: maschi e femmine ‘alla deriva’ in un’epoca di transizione . Montréal: McGill University 1995 Ilardi, Massimo: Negli spazi vuoti della metropoli. Distruzione, disordine, tradimento dell’ultimo uomo . Torino: Bollati Boringhieri 1999 Kroha, Lucienne e Alexandra Haedrich: «Modernity and Gender-Role Conflict in Maria Messina», in: With a pen in her hand. Women and Writing in the Nineteenth Century and Beyond . A cura di Verina R . Jones & Anna Laura Lepschy, Exeter: The Society for Italian Studies University of Exeter 2000, pp . 63-75 . Mariano, Carmela: «Spessore nella metropoli territoriale», in: Nello spessore. Traiettorie e stanze dentro la città . A cura di Sara Marini, Federico De Matteis, Roma: Edizioni Nuova Cultura 2012, pp .-63-72 Daniela Bombara La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina 4 3 Messina, Maria: «Gli ospiti», «Ti-nesciu», «L’ora che passa», «Lo scialle» (Piccoli gorghi 1911), in: Piccoli gorghi . Introduzione di Annie Messina, Palermo: Sellerio 1988, pp . 86-93, 94-97, 108-113, 151-158 Messina, Maria: «Casa paterna» (Le briciole del destino, 1918), in: Piccoli gorghi Introduzione di Annie Messina, Palermo: Sellerio 1988, pp . 159-173 Messina, Maria: «Il dovere» (Le briciole del destino 1918), in: Piccoli gorghi - Introduzione di Annie Messina, Palermo: Sellerio 1988, pp . 259-265 Messina, Maria: La casa nel vicolo (ed . or . Milano: Treves 1921) . Palermo: Sellerio (I ed . 1982) 2009 Messina, Maria: «L’avventura», in: Il guinzaglio (ed . or . Milano: Treves 1921), Palermo: Sellerio 1996, pp . 93-101 Messina, Maria: «Camilla» (Ragazze siciliane, 1921), in: Gente che passa, Palermo: Sellerio 1989 . Messina, Maria: Un fiore che non fiorì . Milano: Treves 1923 Messina, Maria: L’amore negato (ed or Milano: Ceschina 1928) Palermo: Sellerio 1993 Muscariello, Mariella: «Vicoli, gorghi e case: reclusione e/ o identità nella narrativa di Maria Messina», in: Les femmes écrivains en Italie (1870-1920): ordres et libertés . A cura di Emmanuelle Genevois . Croniques Italiennes, n . 39/ 40, Paris: Université de la Sorbonne Nouvelle 1994, pp . 329-346 Muscariello, Mariella: «‘Una straniera di passaggio’ . Lettura della novella ‘Casa paterna’ di Maria Messina», in: L’occhio e la memoria . Miscellanea di studi in onore di Natale Tedesco, Caltanissetta: Lussografica 2004, pp . 463-471 Muscariello, Mariella: «Donna, provincia, città», in: La città e l’esperienza del moderno . A cura di Mario Barenghi, Giuseppe Langella, Gianni Turchetta, Tomo II . Pisa: Ets 2012, pp . 701-712 Pausini, Cristina: Le briciole della letteratura: le novelle e i romanzi di Maria Messina Bologna: Clueb 2001 Pike, Burton: The Image of the City in Modern Literature . Princeton: Princeton University Press 1981 Pirandello, Luigi: Il fu Mattia Pascal . In: Id .: Tutti i romanzi . Vol . 1 . A cura di Giovanni Macchia e Mario Costanzo . Milano: A . Mondadori 1973 Quintavalle, Arturo Carlo: «La città del mito è quella della storia», in: La città e le forme . A cura di Gabriella Belli e Franco Rella, Milano: Mazzotta 1987, pp 74-92 Rella, Franco: «Eros e polemos . La poetica del labirinto», in: La città e le forme . A cura di Gabriella Belli e Franco Rella, Milano: Mazzotta 1987, pp . 12-18 Restucci, Amerigo: «L’immagine della città», in: Letteratura italiana, Storia e geografia . A cura di Alberto Asor Rosa . Vol . III, L’Età contemporanea, Torino: Einaudi 1989, pp . 170-220 Righini, Michele: «Città degli incubi», in: Luoghi della letteratura italiana . A cura di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi, Milano: Mondadori 2003, pp . 142-152 Rosa, Giovanna: Il mito della capitale morale. Letteratura e pubblicistica a Milano tra Otto e Novecento . Milano: Edizioni di Comunità 1982 Rykwert, Joseph: L’idea di città: antropologia della forma urbana nel mondo antico A cura di Giuseppe Scattone . [The Idea of a Town. The Anthropology of Urban Form in Rome, Italy and the Ancient World Princeton, N .J . : Princeton University Press, 1976] . Torino: Einaudi 1981 Sapegno, Maria Serena: «Sulla soglia: la narrativa di Maria Messina», in: Altrelettere, I, 3 (2012) . Consultato in data 26/ 11/ 2016 sul sito www .altrelettere .uzh .ch La città ‘negata’ nelle opere di Maria Messina Daniela Bombara 4 4 Sciascia, Leonardo: «Nota» . In: Maria Messina: Casa paterna . Palermo: Sellerio 1981, pp . 57-63 . Simmel, Georg: Le metropoli e la vita dello spirito [Die Großstädte und das Geistesleben] . Roma: Armando Editore 1995 Vergine, Lea et al: «L’immagine» . In: La città e l’immaginario . A cura di Donatella Mazzoleni . Roma: Officina Edizioni 1985, p . 25